Fin dalla sua introduzione con il Decreto Crescita 2.0, l’obiettivo del work for equity è stato quello di consentire alle startup innovative di beneficiare di forme alternative di remunerazione delle prestazioni professionali qualificate (consulenti esterni, fornitori di opere, servizi, prestazioni intellettuali, ecc), indispensabili per il successo del progetto imprenditoriale innovativo, nelle prime fasi dell’attività d’impresa, per loro natura caratterizzate da limitate disponibilità finanziarie.
Il meccanismo. Il Legislatore ha introdotto un regime di favore per le remunerazioni mediante assegnazione di azioni, quote o strumenti finanziari partecipativi (i cd. “Strumenti Finanziari”) a favore dei consulenti, professionisti e, in generale, dei fornitori di opere e servizi, diversi dai lavoratori dipendenti e dai collaboratori continuativi delle startup.
Una importante circolare della Agenzia delle Entrate ha inoltre chiarito che rientrano nel regime di favore previsto per il work for equity “anche le prestazioni professionali rese dagli amministratori della start-up innovativa o dell’incubatore certificato, ovvero i relativi crediti, il cui reddito sia da qualificare come di lavoro autonomo”. Sono invece escluse da tale ambito “le prestazioni rese dai soggetti la cui remunerazione rientra tra i redditi di lavoro dipendente o assimilato”.
Tra l’altro, con questi Strumenti Finanziari le startup possono remunerare sia gli apporti di opere e servizi da rendere, sia quelli già prestati attraverso la compensazione dei crediti maturati dai beneficiari.
Pertanto, le startup possono avvalersi dei servizi necessari all’avvio dell’attività a fronte dell’emissione di Strumenti Finanziari (invece di effettuare pagamenti in denaro) , mentre i beneficiari, acquisendo detti Strumenti Finanziari, in luogo del pagamento in denaro della prestazione resa, ottengono una remunerazione che non si calcola nel reddito complessivo soggetto ad imposte.
Il quadro normativo. Il comma 4° dell’art. 27 del Decreto Crescita 2.0 stabilisce che “le azioni, le quote e gli strumenti finanziari partecipativi emessi a fronte dell’apporto di opere e servizi resi in favore di start-up innovative o di incubatori certificati, ovvero di crediti maturati a seguito della prestazione di opere e servizi, ivi inclusi quelli professionali, resi nei confronti degli stessi, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del soggetto che effettua l’apporto, anche in deroga all’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, al momento della loro emissione o al momento in cui è operata la compensazione che tiene luogo del pagamento”.
Sono e restano viceversa escluse dall’applicazione del regime di favore, e perciò rimangono soggette ad ordinaria tassazione alla data della cessione, le eventuali plusvalenze percepite dai beneficiari a fronte del trasferimento a titolo oneroso degli Strumenti Finanziari.
Da ultimo, è opportuno ricordare che le prestazioni e i servizi resi a fronte dell’emissione degli Strumenti Finanziari, oltre a essere soggettate all’applicazione dell’IVA (se dovuta), devono essere regolarmente fatturate dai Beneficiari alla startup.
Quali sono gli Strumenti Finanziari destinati al work for equity?
Le prestazioni e i servizi resi alle startup nell’ambito del work for equity possono essere remunerate attraverso i seguenti Strumenti Finanziari:
- azioni o quote della startup (che possono anche avere diritti differenti da quelle in circolazione);
- strumenti finanziari partecipativi, ossia gli strumenti emessi ai sensi del D.lgs. 179/2012 e dell’art. 2346, 6° comma, del Codice Civile, forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il diritto di voto nell’assemblea della società. Detti strumenti danno diritto ad un’opzione sugli aumenti di capitale eventualmente deliberati dalla società cui si riferiscono.
Alla luce degli evidenti vantaggi sia per la startup che per i beneficiari percettori, perché il sistema del work for equity nella prassi è così poco diffuso?
Requisito indispensabile per l’attuazione del work for equity è che lo Statuto della startup contenga previsioni che consentano all’assemblea dei soci di deliberare:
- aumenti di capitale a favore di soggetti terzi non soci della startup, quali potenziali beneficiari estranei alla compagine sociale;
- l’emissione di Strumenti Finanziari a fronte del conferimento di prestazioni di servizi e d’opera professionale;
- l’emissione di strumenti finanziari partecipativi da destinare a soci e non soci.
Pertanto, fin dalla fase di costituzione, è importante prevedere per la startup uno Statuto tagliato su misura, ad esempio sfruttando appieno le opportunità fornite dalla costituzione ‘digitale’ della startup in forma di Srl, senza l’intervento del notaio.
Qualora infatti la startup emittente sia costituita sotto forma di Srl, l’aumento di capitale a pagamento dedicato all’emissione degli Strumenti Finanziari deve essere garantito da apposite polizze fideiussorie o fideiussioni bancarie a carico dei beneficiari apportatori delle stesse. Tuttavia, tali garanzie possono essere sostituite, qualora lo Statuto della startup lo preveda, dal versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in denaro.
Limiti alla possibilità di emettere strumenti finanziari partecipativi sussistono per le società a responsabilità limitata cd. “semplificate” – Srls – soggette all’obbligo di adottare il modello standard tipizzato di Statuto di cui al Decreto Ministero della Giustizia n° 138 del 2 giugno 2012 (G.U. 14.08.2012) che non contempla l’emissione di tali strumenti.
Infine, sempre sul piano procedurale, si rammenta l’opportunità di regolamentare il work for equity della startup con un contratto ad hoc da concludersi con i beneficiari contenente, tra l’altro: il dettaglio del tipo di opera o servizio da rendere; la valorizzazione degli apporti accompagnata da una perizia di stima redatta da un esperto; gli eventuali obiettivi di performance da raggiungere; le conseguenze nel caso di mancata fornitura dell’opera o servizio.
I vantaggi determinati dal work for equity il più delle volte non sono sfruttati dalle startup, che spesso sottovalutano una corretta impostazione della società già in fase di costituzione, così da vedersi poi costrette ad investire somme per adeguare lo Statuto sociale oppure a dover rinunciare alle agevolazioni previste per il settore.
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