Le dispute e le liti all’interno delle compagini societarie sono accadimenti molto frequenti, che addirittura in taluni casi non riescono a ricomporsi. Uno degli strumenti a disposizione dei soci che non intendono proseguire nel rapporto sociale è il cosiddetto “recesso”. La normativa che disciplina tale atto unilaterale recettizio è molto stringente, prevedendo che il recesso possa essere attivato solo in casi limitati, salvo che lo statuto non disponga diversamente, affidando cioè al socio la piena libertà di decidere, come nel cosiddetto recesso ad nutum.
È sempre vero che il legislatore ha regolamentato l’atto di recesso, pur restando comunque sempre possibile recedere dalla società – da parte di un socio – facendo constatare l’accordo degli altri soci. Questo accordo può manifestarsi o tramite l’acquisto della stessa partecipazione del socio recedente (recesso atipico) oppure accollandosi il costo direttamente la società (recesso tipico).
Nelle società di persone il recesso può avvenire solamente a determinate condizioni; il socio può recedere a proprio arbitrio solo quando la società è costituita a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci; se la società è contratta a tempo determinato il recesso avviene per giusta causa o se previsto nel contratto sociale. Il tutto viene disciplinato dall’articolo 2285 del Codice Civile.
La normativa che definisce il recesso nelle società di capitali è contenuta nel Codice Civile agli articoli 2437 e 2473. In queste società è concesso al socio di esercitare il recesso qualora non concorra alle deliberazioni che vanno a modificare i patti iniziali quali: cambiamento dell’oggetto sociale; cambiamento del tipo di società; contrarietà rispetto alla revoca dello stato di liquidazione; contrarietà rispetto ad operazioni di fusione o scissione; contrarietà rispetto allo spostamento della sede all’estero; compimento di operazioni che comportano sostanziali modifiche dell’oggetto sociale; eliminazione di una causa di recesso prevista dallo statuto.
Relativamente alla fattispecie di recesso in caso di contratto sociale a tempo indeterminato, così come avviene per le società di persone, il socio può sempre recedere dalla società, con un preavviso di almeno centottanta giorni, o con il termine maggiore previsto dallo statuto, comunque non superiore ad un anno.
Sul tema delle facoltà di recesso in relazione alla durata del contratto sociale, è intervenuto di recente il Tribunale di Roma con la sentenza n. 21224 del 22 ottobre 2015, affermando che deve essere considerata a tempo indeterminato anche la società la cui scadenza avvenga in una data successiva a quella prevista considerando l’aspettativa di vita del socio (principio che va applicato a tutte le tipologie di società sia di capitali che di persone). Cercando di essere più chiari, l’Istat ha determinato che la vita media per gli uomini è di 80,2 anni e per le donne a 84,9 anni. Tenendo in considerazione questo, possiamo fare un esempio che chiarisce ancora meglio la sentenza del Tribunale di Roma: se un socio uomo fosse sessantenne alla data di costituzione, avvenuta nel 2016, di una società con scadenza fissata nel 2040, si potrebbe considerare la società come a tempo indeterminato, considerando il fatto che la vita media stimata dall’Istat è di 80,2 anni, poiché nel 2040 – cioè alla data di scadenza della società – il socio avrebbe 84 anni.
Con questa sentenza si offre quindi ai soci in disaccordo nella gestione sociale una possibilità in più per esercitare l’atto unilaterale recettizio del recesso.
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