Una premessa è d’obbligo. Perché possa essere legittimamente avviata una contestazione disciplinare, con conseguente irrogazione della relativa sanzione, è necessario, come prescritto dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, che le norme disciplinari vengano portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti i lavoratori.
Tale affissione, che si è ritenuto non poter essere sostituita con altre modalità informative, quali ad esempio, la pubblicazione sul sito internet aziendale o la consegna di copia del codice disciplinare al dipendente, trova una deroga unicamente nel caso in cui ad essere violati siano quei principi fondamentali posti alla base del rapporto di lavoro. Pertanto, come stabilito dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il comportamento contrario al cosiddetto “minimo etico”, quello in violazione a norme di rilevanza penale o a principi cardine della organizzazione del lavoro –ad esempio, l’assenza ingiustificata- non deve essere necessariamente previsto nel codice disciplinare affisso in bacheca perché possa originare le sanzioni disciplinari del caso.
Espressione di quanto sopra è contenuta nella recente sentenza della Cassazione n. 17366/2015 che, tuttavia, si è spinta ben oltre laddove assimila ai principi cardine dell’organizzazione aziendale le direttive aziendali. E’ il caso di un direttore di una filiale di un istituto di credito che, in totale dispregio alle direttive datoriali, aveva più volte autorizzato operazioni di anticipo sulla base di semplici fotocopie di fatture, deliberato mutui per importi superiori a quelli consentiti e permesso a un terzo estraneo alla banca di accedere a una postazione informatica della filiale. La Cassazione, per la posizione rivestita dall’interessato, ha ritenuto di dover equiparare le direttive aziendali ai principi cardine dell’organizzazione aziendale poiché conosciute dall’interessato alla stessa stregua delle norme di comune prudenza e di quelle del Codice penale.
Pertanto, con questa decisione si è compiuto un significativo passo avanti nel superamento del rigido formalismo interpretativo scaturente dalla lettura dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori.
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