Trasferire la residenza fuori dallo territorio nazionale comporta l’emersione dei valori aziendali latenti con la conseguenza diretta della tassazione in capo all’ente che “esce” dallo Stato italiano. Tuttavia, in ambito europeo sono stati predisposti dei rimedi specifici al fine di evitare violazioni di uno dei principi fondanti l’Unione: la libertà di stabilimento.
Quando si applica la cd. exit tax? La norma in esame trova applicazione tutte le volte in cui l’impresa commerciale italiana trasferisce la propria residenza “ai fini delle imposte sul reddito” in un altro Stato e non mantiene i beni aziendali o il complesso aziendale in una stabile organizzazione situata nel territorio italiano.
Con le modifiche apportate dall’art. 11 del D. Lgs 147/2015 si è stabilito che la norma si applica a tutti i trasferimenti di residenza fiscale, anche per effetto di operazioni straordinarie, ed anche a tutte le operazioni che comportino il trasferimento fuori dal territorio nazionale delle stabili organizzazioni di soggetti esteri in Italia, nonché alle stabili all’estero di soggetti italiani.
Va specificato che la l’imposta si applica solo alle imprese commerciali, siano esse in forma individuale o associata; non vi è exit tax per il trasferimento dei soggetti persone fisiche non esercenti attività d’impresa. Tali soggetti con il trasferimento di residenza fiscale diverranno contribuenti non residenti e quindi tasseranno solo i redditi di fonte italiana sulla base dell’art. 23 TUIR.
Allo stesso tempo, è opportuno ricordare che ai sensi dell’art. 166, c. 2-ter: “il trasferimento della residenza fiscale all’estero da parte di una società di capitali non da’ luogo di per sé all’imposizione dei soci della società trasferita”.
Il dato temporale relativo al trasferimento all’estero è determinante per individuare qual è l’ultimo periodo d’imposta in Italia: a fronte di un mero trasferimento nominale il contribuente sarà considerato ancora soggetto fiscalmente residente. Sono fondamentali, quindi, sia il dato formale (cancellazione dal Registro Imprese italiano e dall’anagrafe tributaria e attribuzione codice fiscale estero), ma anche il trasferimento effettivo delle attività, dei rischi e delle funzioni.
In particolare, in base all’art. 73 TUIR si considera residente la società che per la maggior parte del periodo d’imposta ha ivi la sede legale o la sede amministrativa o l’oggetto principale. È fondamentale l’inciso contenuto nell’art. 166, c. 1 in cui si fa espressa indicazione “ai fini delle imposte dirette”. Da ciò discende che un mero cambio di sede non seguito dal trasferimento dell’amministrazione e/o dell’oggetto sociale non porti ad alcuna applicazione dell’exit tax, essendo il soggetto un contribuente italiano a tutti gli effetti.
Occorre, quindi, verificare quando il trasferimento avvenga: se nella prima metà del periodo di imposta il soggetto non si considera più residente dall’inizio del periodo, e sarà soggetto alle regole contenute nell’art. 23 TUIR e dell’art. 162 TUIR (con la presenza di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato dall’inizio del periodo d’imposta sino al trasferimento). Ciò comporta che l’exit tax confluirà nell’esercizio che precede il trasferimento di residenza.
Nel caso un soggetto estero detenga una stabile organizzazione in Italia in caso di trasferimento di residenza si applicheranno le norme contenute nell’art. 166 Tuir, esattamente come nel caso di stabili organizzazioni estere di imprese italiane che trasferiscono la propria residenza all’estero. In tutti i casi in cui lo Stato perde la propria potestà impositiva imporrà il realizzo delle plusvalenze sui valori latenti. Nel caso il trasferimento sia mediato per effetto della costituzione di una stabile organizzazione in Italia per l’intero complesso aziendale o parte di esso, l’applicazione dell’art. 166 è sospeso sino all’eventuale cessazione della stabile o alla cessione dei beni che ne fanno parte o al trasferimento in altro Stato.
Come accennato in premessa, in ambito europeo sono tuttavia intervenuti diversi interventi, cui il nostro Paese ha dovuto dar seguito, adeguando la normativa, anche per effetto della procedura d’infrazione e delle numerose sentenze della Corte di Giustizia.
Con il succedersi delle norme, in particolare dei D.M. del 2.08.2013, e del 2.07.2014 e dello stesso D.Lgs. 147/2015 all’art. 11, si è provveduto a definire in maniera puntuale i trasferimenti di residenza dovuti sia alla volontà degli organi sociali che ad operazioni straordinarie (conferimenti, fusioni e scissioni), sia per le imprese che per le loro stabili organizzazioni, completando il quadro del regime opzionale della sospensione dell’exit tax, il cd. tax deferral.
In particolare, il tax deferral oggi prevede un’opzione per i soggetti che trasferiscono la propria residenza fiscale “in Stati appartenenti all’Unione europea ovvero in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE)”. L’opzione consente “la sospensione della riscossione delle imposte sui redditi” nel periodo d’imposta in cui si verifica il trasferimento e “le imposte sui redditi oggetto di sospensione sono versate nell’esercizio in cui si considerano realizzati, ai sensi delle disposizioni del TUIR, gli elementi dell’azienda o del complesso aziendale trasferiti” . Vi è comunque un limite massimo oltre il quale la plusvalenza si ritiene realizzata, che è lo spirare del decimo esercizio successivo. Oltre a ciò, l’opzione del tax deferral prevede ulteriori limitazioni ed eccezioni.
L’opzione, oltre la sospensione, può riguardare anche il pagamento con la rateazione in 6 anni del debito. Nel caso in cui non si sospenda l’imposta ma la si rateizzi solamente, il contribuente “emigrato” non ha obblighi di monitoraggio nei confronti dello Stato.
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