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Convivente di fatto e riparto fiscale del reddito

Con la Risoluzione del 26 ottobre 2017 n.134/E l’Agenzia delle Entrate è intervenuta in merito alla imputazione degli utili al convivente di fatto che presta stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente.

Ricordiamo innanzitutto che per convivenza di fatto si intende il legame tra “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.

La fattispecie rimanda alla legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) cd. Legge Cirinnà, che a seguito della sua introduzione ha consentito di intervenire sugli atti di impresa familiare  inserendo nell’impresa il convivente di fatto,  in applicazione dell’istituto regolato dall’articolo 230-ter del codice civile.

Sul piano generale, La Legge Cirinnà ha previsto forme di tutela differenziate tra le parti dell’unione civile ed i conviventi di fatto, estendendo solo alle unioni civili ed in forza dell’art. 20, “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’ o termini equivalenti….contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi nonché nei contratti collettivi”.

Anche sul piano della disciplina civilistica dell’impresa familiare, la citata legge 76/2016 ha previsto:

– la piena estensione alle unioni civili della disciplina civilistica dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del codice civile

– la diversa regolamentazione della convivenza di fatto attraverso l’introduzione nel codice civile dell’articolo 230-ter, rubricato “Diritti del convivente”, recante la disciplina delle prestazioni di lavoro rese in favore del convivente more uxorio.

Tale ultima norma riconosce “Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente…il diritto di partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato”.

Si prevede inoltre che il diritto di partecipazione non spetti “qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato”.

Sul piano civilistico, dunque, il legislatore ha deciso di mantenere su posizioni differenti la collaborazione del convivente rispetto a quella del familiare (o della parte dell’unione civile, alla quale la disciplina dell’impresa familiare è completamente applicabile), come si evince da alcune diversità di rilievo dei regimi previsti dagli articoli 230-bis e 230-ter del c.c.

Analizziamo invece le regole fiscali applicabili in caso di impresa familiare costituita con il convivente.

La ripartizione del reddito nell’impresa familiare è regolata dal comma 4 dell’articolo 5 del TUIR, secondo cui nell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del codice civile i redditi sono imputati, “limitatamente al 49 per cento dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore…a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.

Detta imputazione proporzionale non può superare complessivamente il 49 per cento dell’ammontare del reddito risultante dalla dichiarazione annuale dell’imprenditore e presuppone a sua volta la partecipazione all’impresa di un soggetto avente lo status di ‘familiare’, ovvero “il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado”.

Secondo la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate,  il riferimento alla “partecipazione agli utili dell’impresa familiare” spettanti al convivente, contenuto nell’art. 230-ter, consente di applicare anche a questa fattispecie i principi generali che hanno portato alla collocazione dell’impresa familiare all’interno dell’articolo 5 del TUIR.

Pertanto, anche per il convivente di fatto valgono le medesime regole di riparto del reddito proprie dell’impresa familiare. Nella stessa risoluzione, l’Amministrazione finanziaria ha inoltre ricordato che:

  • il reddito prodotto da un determinato soggetto partecipante all’impresa familiare è imputato a ciascuno degli aventi diritto, indipendentemente dalla percezione del reddito ed in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili;
  • nell’esercizio dell’impresa familiare vi è duplice qualificazione dei redditi conseguiti, ovvero reddito d’impresa per il titolare (attesa la natura dell’impresa familiare come impresa individuale), e reddito di partecipazione per i collaboratori familiari.

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