Tra i temi più caldi di cui si sta discutendo in queste ore in ambito fiscale a seguito della Brexit c’è quello della direttiva “madre-figlia” per i gruppi multinazionali. Di cosa si tratta? In sostanza, tale direttiva comunitaria consente di non pagare la ritenuta fiscale se è la società “figlia” a distribuire il dividendo nel Regno Unito, ove a sede la società “madre”. Tale agevolazione prevista tra i Paesi aderenti all’Unione non potrà più essere applicata nel caso della Gran Bretagna, con la conseguenza che il risultato fiscale sarà penalizzante per i gruppi multinazionali operanti nel Regno Unito.
La direttiva 2014/86/UE , conosciuta come “madre-figlia”, sopprime infatti la doppia imposizione degli utili distribuiti in forma di dividendi dalle società figlie stabilite in uno Stato membro alle proprie società madri stabilite in un altro Stato membro.
Il regime madre-figlia opera a monte e a valle: la società che eroga il dividendo non esegue nessuna ritenuta, così come la società che lo riceve non lo fa concorrere al reddito se non per il 5%, percentuale espressiva di una correlazione tra il dividendo e le possibili spese connesse alla gestione della partecipazione.
Tale meccanismo è stato introdotto dalla Direttiva 23.07.1990, n. 435/90/CEE sul regime fiscale comune applicabile alle distribuzione dei dividendi tra le società cd. madri e figlie di Stati membri diversi (GU L 225), al fine di creare un unico mercato dei capitali che consentisse il trattamento dei gruppi multinazionali europei come i gruppi nazionali. L’impianto normativo iniziale fu modificato poi dalla Direttiva del Consiglio 22.12.2003, 2003/123/CE, e da ultimo dalla Direttiva 8.07.2014, 2014/86/UE. In particolare la prima direttiva conteneva la disciplina fiscale di esenzione della ritenuta sul dividendo distribuito eliminando il prelievo alla fonte (withholding tax) al momento del pagamento da parte del Paese di provenienza dei dividendi stessi.
Nella struttura operativa iniziale, ora modificatasi, si prevedeva un ambito soggettivo che era circoscritto dall’art. 2, con indicazione delle forme societarie previste della residenza di entrambe le società sede in un Paese aderente all’Unione Europea e dell’imposta a cui le stesse società dovevano essere assoggettate.
Di contro veniva poi previsto l’ambito oggettivo, così da individuare nel bacino di potenziali società madre-figlie solo quelle a cui la norma poteva essere applicata. L’effetto dell’applicazione della direttiva era l’esenzione dei dividendi o il riconoscimento del credito d’imposta pari alle ritenute subite in fase di pagamento dei dividendi da parte della società figlie (qualora la norma interna questo prevedesse). L’art. 5 prevedeva infatti che vi fosse l’esenzione da ritenute, tranne in specifici casi elencati. Era quindi prevista sia l’esenzione da ritenuta dei dividendi in uscita dallo Stato della figlia (art. 5, con alcune specifiche eccezioni) che la non imposizione degli stessi in capo alla casa madre, o in alternativa il riconoscimento del credito per le imposte pagate dalla società erogante (art. 4).
L’attuale formulazione dell’art. 27-bis (integrato dalle modifiche della direttiva del 2003) prevede:
- partecipazione minima 10% (per effetto delle modifiche di cui D.Lgs. 6.02.2007, n. 49);
- residenza fiscale di entrambe le entità giuridiche nel territorio comunitario;
- tassazione dei dividendi/utili ricevuti dalla casa madre estera nel proprio Paese;
- partecipazione detenuta ininterrottamente per almeno un anno.
Come detto, la tassazione non rientra nell’ambito applicativo della direttiva, pertanto i dividendi di fonte comunitaria sono trattati come quelli di fonte nazionale (5% di imponibilità), a meno che la norma convenzionale non escluda la potestà nazionale. Ad esempio, all’ art. 24 della Convenzione Italia-Germania contro le doppie imposizioni è previsto che la tassazione dei dividendi qualificati di fonte tedesca sia solo effettuata in Germania: in tale ipotesi i dividendi non potranno essere tassati in Italia nemmeno nella misura del 5%.
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